Giovanni Giorgi

Written by BOB Baruffaldi. Posted in Musicians, Paper2Media

Jo-tmbUno dei Face to Face, ossia delle interviste, pubblicate sul numero di maggio 2013 della rivista Drumset Mag riguarda uno dei migliori batteristi italiani, mr. Touch, al secolo Giovanni Giorgi. Alcune parti della lunghissima chiacchierata con questo autentico talento del drumming le abbiamo riservate agli utenti del nostro sito e ve le proponiamo in questo articolo esclusivo. (Leggi tutto>>)

Ho notato che spesso usi alcuni effetti sul set. Lo fai per l’esigenza di avere delle varianti sonore sempre pronte a seguire le tue ispirazioni?
Dipende da diversi fattori, dalla distanza che devo affrontare quando vado a fare i concerti, dal fatto che abbia o meno a disposizione un service o dal supporto Yamaha. A volte ho suonato in concerto solamente con cassa, rullante e hi-hat, ma quando c’è la possibilità mi porto una batteria più estesa. Cambio spesso perché mi annoio facilmente suonando sempre con la stessa configurazione. Di solito uso sempre un solo tom, giusto qui nel mio studio predispongo un set fisso con due tom e uso una buona varietà di piatti. Anche perché, se devo registrare un disco, devo dare ciò che penso sia giusto o che mi si chiede. Di solito registro sempre una take alternativa nella quale inserisco sempre qualcosa di diverso, proprio per fornire ulteriori opzioni.
Quindi sei sempre ispirato dal tipo di composizione che stai suonando…
Certo, ma anche dai musicisti e dalla platea in sala…
In un certo senso ne sei dipendente…
Cerco di mantenere un alto livello di forza interiore, a prescindere dal palco, dalla situazione, dalla strumentazione che magari può non essere sempre al top, proprio per garantire la resa finale. Mi condizionano molto i musicisti che ho chiamato, o che mi hanno chiamato, e se stiamo bene insieme è perché penso che qualcosa di buono debba comunque avvenire sul palco. È molto importante anche il rispetto per la composizione, perché voglio essere dentro la musica che sto suonando; metto totalmente da parte il lato eroico, anche se ho davanti venti batteristi che si aspettano una certa cosa, perché sanno che potrebbe arrivare il GG stuff… Se è il caso, il momento, se la musica lo richiede e soprattutto se va a me, allora posso lasciarmi andare, altrimenti resto nel groove. Penso ci sia un motivo se Steve Jordan suona un brano senza fare un fill e con un tiro pazzesco… Allo stesso modo si può fare anche come Paul Motian, che suonava o registrava praticamente improvvisando.

Non credi che questa tendenza a strafare abbia finito con il creare un’involuzione su se stessa, nel senso che ormai è più difficile stupirsi rispetto a quando è iniziata la ‘corsa’?
Io penso che esista la musica per i musicisti e quella per i batteristi. Se un musicista contemporaneo come Joshua Redman deve realizzare un disco, sicuramente si rivolgerà a Brian Blade piuttosto che ad altri batteristi con una sensibilità artistica completamente diversa. Non è un caso se noi ancora oggi ascoltiamo Kind of Blue di Miles Davis e pensiamo che sia un capolavoro. Lo stesso Miles era tecnicamente inferiore sullo strumento a gente come Freddie Hubbard o Dizzy Gillespie, ma ha cambiato la storia della musica cinque volte, e ciò significa che Miles ha trovato il modo. La batteria secondo me è un mezzo per arrivare a questa cosa meravigliosa che è la musica, e non bisogna mai confondere il mezzo con il fine. Per quanto mi riguarda, io ho avuto la fortuna di avere un padre appassionato di musica: è necessario avere una guida che ti dia le informazioni giuste. In casa mia si ascoltava di tutto, da Frank Zappa ai Weather Report, e mi ricordo le prime prove in cantina di mio padre, quando suonava i pezzi dei Rush: avrò avuto 9-10 anni e ogni tanto lui mi diceva di suonare con la sua band, per esempio “Spirit Of The Radio”. Non sapevo assolutamente cosa stavo facendo, ma mio padre mi diceva: “Attento che non è così quel passaggio!”. Tutto è arrivato dopo, ma nella mia testa c’era già quel tipo di concezione attenta della musica. Non l’ho mai presa in maniera superficiale, e questo atteggiamento poi mi ha avvantaggiato.

Ti capita mai, mentre stai scrivendo qualcosa per te, di imbatterti in un’idea che definisce tutto il progetto che vuoi realizzare?
L’idea che seguo sempre è dettata prima di tutto dal suono piuttosto che della complessità della composizione. Dal mio punto di vista penso sempre a una melodia che porti a compiere un viaggio sonoro, ed è per questo che ultimamente ho riscoperto (per esempio) i film di Quentin Tarantino (grazie a Simona, la mia fidanzata che lo adora, e sogna di recitare in uno dei suoi film). Tarantino sceglie sempre delle melodie dotate di un suono particolare, e la direzione musicale nei suoi film cambia in modo repentino. Per come la vedo io è anche questione di guardare alla musica; la scrivi, ed è come se potessi vederla costruendo un’immagine virtuale. Per quanto concerne la batteria, il mio strumento, non penso assolutamente a nulla, non preparo mai niente, e nel bene e nel male mi piace sempre pensare che un’idea segua l’altra in modo naturale. Posso suonare in modo molto denso per poi fermarmi all’improvviso e ripartire in un’altra direzione, con un approccio completamente differente, quindi c’è una totale assenza di idee preparate, lascio che tutto accada.
Perché la musica è quella che guida tutto, è imprevedibile e ogni sera può essere un qualcosa di diverso…
In teoria dovrebbe essere così, perché altrimenti significherebbe suonare tutte le sere in una copy band. Poi c’è la sensibilità che ti guida verso la scelta dei musicisti, e qui potrei citarti quelli che suonano nel mio progetto: Pancho Ragonese, Dario Deidda, Jacopo Bertacco, Sergio Cocchi e Malika Ayane (ospite speciale). Con performers di questa portata non c’è bisogno di dirsi molto, ci si confronta solo per mettere a punto qualche dettaglio e basta. In queste condizioni è difficile che si arrivi a una stasi, ma piuttosto si è sempre in gas, tanto per usare un termine ‘giovane’.

In un dvd sulla sua vita, George Martin cita il pittore Edgar Degas: “Pitturare non è quello che uno vede, ma quello che si vuole che gli altri vedano”, e aggiunge: “In un certo senso è ciò che facciamo noi con il suono. Registrare non è ciò che uno sente, ma ciò che si vuole che gli altri sentano”…
Se suoni solamente per te stesso non arrivi a chi hai davanti. Spesso l’effetto è quello della sala operatoria, con il gelo che crea una barriera tra il musicista sul palco perso dentro a mille fogli, e il pubblico che c’è in sala. Poi magari arriva la band di musicisti ‘scassati’ che trasmette molto di più. Bisogna studiare e andare a fondo nella musica, ma è necessario tenere sempre presente che non si è da soli, perché tutto quello che si fa insieme deve assolutamente essere percepito dal pubblico come un momento piacevole. Credo che l’affinità elettiva tra esseri umani rivesta un ruolo importante anche in questi casi. Un amico tempo fa mi diede un consiglio, dicendomi di suonare come se fossi ‘davanti’, e quindi con il tempo ho rivisto un po’ il mio approccio. Voglio dire che posso anche eseguire cose divertenti e tecniche sullo strumento, ma se poi non hanno il feeling che consente loro di spostarsi di due metri dal mio strumento, allora non va bene. È anche per questo che quando registro metto sempre il microfono davanti alla band, perché voglio che catturi ciò che stiamo suonando come se fosse uno spettatore.

Progetti musicali nei quali sei coinvolto?
Vorrei ricordare tra i molti il gruppo Found(a)ction capitanato da Sergio Cocchi, che pubblicherà a breve un secondo album (il primo, As it Used 2B è stato registrato due anni fa ed è disponibile su Bandcamp). Questo invece è stato registrato in presa diretta, siamo 10 tutti insieme e dal vivo, Poi è in arrivo in terzo disco di The Thrust, gruppo storico che ho insieme a Pancho e Pepe Ragonese, altro talento incredibile che presto avrà quello che si merita (non è una minaccia). Con questo nuovo lavoro esploreremo un linguaggio più vicino all’hard bop, attraverso composizioni originali. Lo Spare Time trio con Alberto Gurrisi e Alessandro Usai, organista e chitarrista, fantastici performers; inoltre ricordo con piacere le collaborazioni con Massimo Nunzi e la sua grande orchestra, quella con Patrizio Fariselli (Area) e Marco Vaggi nel trio che abbiamo insieme e naturalmente la mia band The Plug, con Gianluca Petrella e Andrea Lombardini, oltre al progetto che porto in giro ora e di cui è uscito il cd.

Per quanto riguarda “Wrong and Right” ci saranno tre date di presentazione:
16 maggio Druso Circus Via Galimberti 6 24234, quartiere Redona, Bergamo
17 maggio La salumeria della muscia via Pasinetti 02 5680 7350
18 maggio Colors Via Paolo Sacchi 63 -TORINO – Tel. 011 5817513

La batteria romantica, parlacene un po’…
Ecco come è andata… Simona mi ha iscritto per gioco al casting di una trasmissione sul look curata dal conduttore televisivo Enzo Miccio. Ho partecipato e il risultato è che sarò protagonista di una puntata di L’eleganza del maschio, in onda la prima settimana di giugno e che verrà replicata tre volte su Real Time. Mi verrà creato un look batteristico e suonerò appunto la batteria romantica, ossia il mio set abituale Yamaha, ‘preparato’ con champagne, scatole di cioccolatini, rose, candelabri, ecc. Della serie non bisogna mai prendersi troppo sul serio: chi mi conosce sa che adoro divertirmi e scherzare, per cui questa mi è sembrata l’occasione adatta.

Il resto dell’intervista, è consultabile alle pagine 32-35 del numero di maggio di Drumset Mag.

Giovanni Giorgi ha suonato e collaborato con:
Delfeayo Marsalis, John Patitucci, Jimmy Haslip, Delmar Brown, Andy Timmons, Carl Verheyen, Guthrie Govan, Paul Jeffrey, Tommy Emmanuel, James Cammack, Giovanni Sollima, Matthew Garrison, Linley Marthe, Bobby Vega, Michael Manring, Gianluca Petrella, Stefano Di Battista, Dario Deidda, Francesco Bearzatti, Ares Tavolazzi, Stefano Cerri, Patrizio Fariselli, Gigi Cifarelli, Fabrizio Bosso, Massimo Nunzi, Andrea Braido, Emanuele Cisi, Dado Moroni, Dino D’autorio, Sarah Jane Morris, Carl Anderson, Frank McComb, Giorgia, Alexia, Biagio Antonacci, Eugenio Finardi, Dirotta su Cuba, Alice, Roberto Vecchioni, Nick the Nightfly, Giuliano Palma, Teresa De Sio, Ricky Gianco, Karima Ammar, Luca Jurman, Mario Biondi, Malika Ayane, Petra Magoni, Ricky Martin e molti altri.

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