Pillole Vintage di carta dall’EST: Bicí Nástroje

Written by Luca Luciano. Posted in Vintage

Nel pieno della guerra fredda, i libri ‘bibbia’ della percussione di quegli anni come Percussion Instruments and Their History di James Blades, Percussion di James Holland, ma anche il nostro Guida agli strumenti a percussione di Andrea Centazzo (Ed. Il formichiere, 1979), avevano almeno un corrispettivo nell’allora Cecoslovacchia.

Si tratta di Bicí Nástroje di Miroslav Kotek del 1983. La traduzione dal ceco all’inglese è percussion tools.

Copertina rigida, odore pregnante di fumo (soluzione d’ispirazione sovietica sul materiale cartaceo o eredità degli interrogatori?), caratteri impossibili da intuire fanno da sfondo a un libro che sembra, anche solo per intuizione, degno dei propri avi occidentali per dimensioni e dettaglio di informazioni (sfogliando i capitoli si può comunque comprendere la completezza organologica del testo).

Il corpo centrale del volume è dedicato a una ricca raccolta fotografica, dove scorrono storia e angoli geografici della percussione, l’interesse per il mondo USA e quello colto e sperimentale europeo.
Nella speranza di una traduzione.

Pillole Vintage – Thomson Frigeco

Written by Luca Luciano. Posted in Vintage

Fra i vari set in metallo e leghe, la Ludwig stainless steel, esperimenti Premier e Sonor, modelli autoctoni, e customizzazioni particolari (vedi il set di Carl Palmer o quello di Okay Temiz), incuriosisce la batteria Thomson Frigeco, metallico robot uscito dalla serie del Doctor Who, vista la somiglianza con i malefici Dalek dell’omonima serie televisiva.

Dovrebbe essere un tentativo, o uno ‘sfizio levato’, di qualcuno all’interno della ditta francese che fabbricava refrigeratori e carrozzerie per auto (come per esempio la Citroen).

Il set, dalle misure incerte, le cui immagini sono apparse misteriosamente su alcuni forum specializzati, sembra venire dalla seconda metà degli anni ’70, è equipaggiato con meccaniche della Tacton (provenienti dall’allora Germania dell’Est), e costruito in lega leggera e di facile ossidazione.

Per gli appassionati del mistero c’è da sperare che se ne possa presto sapere di più.

Pillole Vintage – Idiofoni dal passato: il tubofono della UFIP

Written by Luca Luciano. Posted in Tools, Vintage

Oggi la parola tubofono rimanda a strumenti musicali di diverso ingegno e timbro nati alla fine dell’Ottocento, oltre che a varie sperimentazioni artistiche. Negli anni ’70 dello scorso secolo, la disponibilità alla ricerca della famiglia Tronci dell’UFIP, con l’atteggiamento esploratore del batterista-compositore Andrea Centazzo, portò – oltre alla realizzazione della linea di idiofoni metallici ICTUS 75 –  anche alla creazione del sopra detto Tubofono. Si tratta di un profilato prodotto in ottone crudo o bronzo industriale, ancora oggi disponibile in diverse misure e con spessore variabile (0,6 o 0,8 cm.). L’idiofono può essere suonato appoggiato su un sostegno, una superficie amorfa, oppure tenuto in mano regolando la pressione sul corpo dello strumento. Utilizzato anche nelle esecuzioni di alcune composizioni di Iannis Xenakis, viene descritto da Centazzo nel libro da cui è tratta la foto – Guida agli strumenti a percussione, storia e uso (Ed. Il formichiere, 1979) –  come una piastra rettangolare piegata a parallelepipedo con un bordo aperto. Cambiando battenti e tecnica esecutiva la gamma di suoni può variare dal clangore di un china ai piccoli gong cinesi.

Foto tratta da “Guida agli strumenti a percussione” – Andrea-Centazzo – Ed. Il Formichiere

Pillole Vintage 3 – Aggiungi Un Tono

Written by Luca Luciano. Posted in Vintage

Ci piacerebbe avere sotto mano un aggeggio del genere, e forse qualcuno di voi potrebbe provare a costruirlo e farci sapere come funziona. Il prodotto si chiama Add-a-Tone e risale ai primi anni ’80: un pezzo semicircolare in materiale acrilico bianco che si agganciava alle viti che assicuravano i blocchetti, in leggero contatto con la pelle battente, creando una seconda camera sonora all’interno del fusto, quindi, secondo il costruttore, un secondo suono quando la membrana veniva percossa in quella zona senza modificare quello originale. Fu testato e approvato da Joe Morello, ma il prodotto non ebbe successo.

Pillole Vintage 2 – La Cina è vicina

Written by Luca Luciano. Posted in Vintage

Se diamo uno sguardo alla batteria, strumento non solo nuovo, ma che abbraccia Europa, Africa, America e Oriente (lo strumento più interculturale che c’è), oltre alla doppia nazionalità dei piatti (Turchia e Cina), sappiamo ormai che i tom sono i discendenti dei tamburi cinesi, o presunti tali, montati sulle prime batterie. Ma è singolare sapere che esistono tamburi cinesi tradizionali che assomigliano ancora di più ai nostri tom per la possibilità di accordare le pelli superiori e quelle inferiori, quando presenti: i Paigu (pronuncia pái gǔ), in set di tre, cinque, sei o sette, sono tamburi tradizionali di legno con pelle animale e sono utilizzati per intrecci melodici e ritmici. Oggi si trovano anche su stand moderni.

Pillole Vintage 1 – Premier Resonator

Written by Luca Luciano. Posted in Vintage

Cosa è successo da 15 anni a questa parte nel mondo del vintage? Negli anni ’80 si cercava di comprare l’ultimo modello di batteria della marca preferita, anche la linea scelta sarebbe rimasta in vita per molto tempo. Nei ’90, forse anche perché ‘annoiati’ dalla continua uscita di novità, ci si è incuriositi verso la storia dei set che una volta venivano acquistati di seconda mano per risparmiare. Le storie si sono ricostruite, i collezionisti sono cresciuti, i prezzi si sono gonfiati e l’attitudine a farsi la guerra sulle competenze si è annidata in questo campo di interesse. Ci sarebbe molto da dire su questo punto. Ma ancora più da dire c’è su tutto quello che non è stato ancora scritto, forse perché non scoperto oppure perché si tratta ancora di storie incerte o brevi. Il vintage forse è un’area che considera storie e microstorie, uomini, business, cicli economici, contaminazioni culturali, tentativi, e naturalmente nomi e caratteristiche di tamburi e piatti. Con questa rubrica cercheremo di aprire piccole finestre su tamburi minori, invenzioni brevi, echi di altre culture, raccontare storie di tamburi famosi o singolari, qualche riflessione sulle origini e lanciare un sasso nello stagno.

Le Premier Resonator

Negli ’80 Mel Gaynor dei migliori Simple Minds suonava una elegante Premier Resonator, set con tamburi aventi un’intercapedine interna, grazie all’esistenza di un foglio di legno rimuovibile, praticamente un fusto più sottile. Ma le origini risalgono a un progetto di Alan Gilby. Alan progettò le batterie Resonator, dopo aver provato a mettere un fusto dentro un rullante Ludwig, nell’occasione del passaggio dell’amico batterista Kenny Clare dalla Ludwig alla Premier nei primi ’70. Le Resonator furono poi proposte con una piccola fascia centrale sui fusti, in versione Black Shadow, e successivamente in diverse finiture. Le viti dei blocchetti non si vedevano perché coperte dal fusto interno. La Premier ebbe l’esclusiva per qualche anno per produrre questi tamburi, fin quando Richmo e Clare non iniziarono a produrre la loro linea di tamburi sotto il nome Richmo.

Gretsch Name Band Sunset Satin Flame

Written by Antonio Di Lorenzo. Posted in Paper2Media, Tools, Vintage

La Name Band, batteria di punta in casa Gretsch negli anni ’60, nacque dai consigli del grande Dave Tough, dell’orchestra di Benny Goodmann, che chiese alla ditta di Brooklyn di costruirgli una cassa più piccola, più facilmente trasportabile in città. La Gretsch gli costruì un set con una cassa da 20”. I due tom invece rimasero delle dimensioni standard: rack tom da 13” e floor tom da 16”. Il set è tuttora versatilissimo! I tom si prestano a molteplici accordature e la cassa da 20” x 14” è un concentrato di punch e toni bassi; i tom sono capaci di escursioni timbriche incredibili e di accordature molteplici; intonazione bassa per un uso pop o rock oppure, tiratissimi, mantengono quel suono ‘grasso’ che tanto fa impazzire i jazzmen più incalliti. Il rullante in legno da 14” x 5,5” Name Band a 8 tiranti, è equipaggiato con quella che fu la novità del catalogo Gretsch 1969, la macchinetta tendi cordiera denominata Lightning Throw Off nella sua prima versione, con la levetta alla sinistra e non centrale, come sarebbe stato negli anni ’70. Il rullante di legno era un optional su questa batteria nel catalogo del 1969 perché, sulla scia della Ludwig, oramai quasi tutti i set venivano forniti con il rullante in metallo di serie. Altra grande particolarità custom order di questo strumento sono le meccaniche reggitom: come spesso succedeva all’epoca, i batteristi si facevano montare meccaniche anche di altre ditte, ritenute più funzionali, come in questo caso, con il braccetto reggitom Slingerland (le altre meccaniche del set sono le classiche Gretsch Floating Action). La finitura è rarissima: la Sunset Satin Flame non è mai apparsa su catalogo (per questo molti la chiamano erroneamente Salmon Satin Flame).
Pace e Amore

Photogallery

  • Gretsch Name Band sunset satin snare
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  • Gretsch Name Band sunset satin flame
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  • Gretsch Name Band pedal

Yamaha YD 9.000 Recording Custom

Written by Antonio Di Lorenzo. Posted in Paper2Media, Vintage

Le Yamaha 9000 sono l’esempio di come a volte i difetti si trasformino, grazie anche a un sapiente marketing, in virtù. Ho posseduto una di queste batterie e ricordo perfettamente la mia impressione: “Ma, non suona!?!?”. Le 9000 sono delle batterie a mio parere discutibili, con volume minimo e per di più con una quantità di massa hardware addosso che impedisce ai fusti di vibrare, con un suono ‘medioso’ e casse quasi sorde. Il frutto di un’epoca non bellissima come gli anni ‘80 in cui sono cresciuto. Ma allora, perché lo strumento ha avuto un grande successo? Molte componenti: innanzitutto il marketing. La Yamaha investì molto in pubblicità ed endorser (si dice che addirittura a Cozy Powell e al suo enturage regalarono delle moto!). Inoltre, le batterie che usavano gli endorser di rado erano quelle acquistabili dai comuni mortali: Tommy Aldrige ne aveva una in carbon-fibra, Colaiuta e altri avevano strumenti custom, pur continuando a usare negli studi altre batterie; Larry Mullen degli U2 utilizza da sempre i rullanti Brady e le stesse batterie in studio; e nella copertina di un album è immortalato con una Ludwig nera Superclassic. Tant’ è che, a eccezione di Gadd e Weckl (che non ha mai avuto ‘normali’ Yamaha), molti sono poi ritornati a ditte americane, Colaiuta ed Erskine in testa.
Ma è importante inquadrare anche il periodo storico-tecnologico: siamo agli inizi degli anni ‘80, il digitale è appena comparso con i DAT, mentre la registrazione multi traccia si fa ancora su nastro. Le 9000 sono poco sonore e spesso in tandem con le pelli Pinstripe si rivelano perfette, in relazione ai limiti dinamici della registrazione di quei tempi: in pratica lo strumento sembra essere tarato per la ripresa microfonica e per gli studi di registrazione e consente ai fonici di realizzare facilmente il suono di una batteria ‘ipercontrollata’. Insieme alle casse NS 10 della Yamaha, lo standard in studio per i monitor (che personalmente ho odiato nei missaggi per la loro assoluta ‘neutralità’), le 9000 sono richieste dagli studi e – come mi ricorda il liutaio Stefano Berti (SteppoDrums) – venivano inserite negli imballaggi le istruzioni su come amplificarle già dalla stessa ditta!
A onor del vero le meccaniche – aste, snodi, pedali e quant’altro – erano di primissimo livello, tuttora le mie preferite, ma i fusti… Quando con gli ADAT su nastri Super VHS la registrazione digitale divenne multi traccia, comparirono le Yamaha 10000, le altre batterie di fascia alta in acero tornarono in auge mentre le 9000 divennero, per fortuna, obsolete.
Ma negli anni ‘80 spopolavano! In quel periodo divenne possibile acquistare a poco prezzo batterie vintage fantastiche; la mia prima Gretsch la scambiai con la 9000 e spesso ho utilizzato le Yamaha come merce di scambio. E pensare che in commercio in quegli anni la Rogers produceva le XP8 totalmente in acero e la Gretsch, pur esagerando con la lunghezza dei fusti, aveva un suono fantastico. Adesso le 9000 ritornano! Aiuto! Anzi no. Speriamo abbiano successo, e che ritorni la moda di vendere i ‘vecchi catorci’ Ludwig, Gretsch, Rogers o Slingerland e altri ancora; mi raccomando: avvisatemi se lo fate!

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Slingerland Modern Jazz Outfit

Written by Antonio Di Lorenzo. Posted in Tools, Vintage

La batteria di cui ci occupiamo nella rubrica dedicata al vintage del primo numero di Drumset Mag risale alla seconda metà degli anni ‘60, quando fu introdotta nei cataloghi Slingerland la finitura Red Satin Flame.

Uno strumento costoso per l’epoca, perché le finiture Satin Flame costavano molto di più per ogni singolo tamburo. Questa Slingerland è composta da cassa 20” x 14”, tom 12” x 8” e timpano 16” x 16”. Il rullante è il suo classico 14” x 5” in metallo Gene Krupa Sound King: uno strumento in ottone a otto tiranti, un classico sempre molto efficace con il suo Zoomatic Strainer (tendi cordiera).

I fusti sono a tre strati acero-mogano-acero con cerchio di rinforzo in acero. Il suono supera abbondantemente i confini del jazz e l’utilizzo con soli strumenti acustici, come evidenziato dal video collegato.

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